“Raggomitolata in un fiocco di neve sono nata a Milano, il primo gennaio, nell’ora del tramonto”…queste parole così semplici, eppure così piene di una arcana poesia, sono l’incipit dell’autobiografia di Valentina Cortese. Il fatidico anno di nascita era il 1923, l’inizio di una vita fiabesca che l’ha fatta conoscere in tutto il mondo. Una delle poche attrici italiane chiamate a Hollywood, venerata dai registi, musa degli autori, amata da un pubblico di ogni età.
Un personaggio che con la sua inafferrabile bellezza, l’aria sognante, la voce morbida, l’elegante gestualità, la forza espressiva, ha fatto di se’ stessa un’icona di un divismo d’altri tempi.
Una mostra a Milano nello storico Palazzo Morando “Valentina Cortese. Uno stile” (aperta a settembre e in cartellone fino al 10 novembre) ne ripercorre l’iter artistico, esponendo una ricca parte del suo guardaroba.
Una selezione di oltre cinquanta mise, accessori, cappelli, gioielli, profumi, souvenir. Capucci, Dior, Ferré, Galante, Valentino… sono alcuni degli stilisti che hanno offerto al suo indiscutibile charme una “veste” per esprimersi e rivelarsi. Abiti poi arricchiti e animati dal suo temperamento, diventati parti vive di uno stile personalissimo. Sì, perché l’attrice non ha mai rincorso le tendenze, bensì, con un piacere anticonformista, si è sempre proposta “dentro la moda” interpretandola e spesso anticipandola.
Una rassegna che lascia una sensazione di lievità, ironia, preziosità, ammirazione per l’armonia di ogni dettaglio e per l’estroso gioco dell’abbigliarsi. Sui manichini splendidi vestiti dai tessuti pregiati: taffetas cangianti, chiffon dipinti a mano, organze croccanti con ricami in rilievo, incrostazioni di pizzo e macramé, corolle quasi vere tra le quali gigli ricadenti (Galante), voli di rondini (Valentino) e di farfalle(Capucci). E poi scialli, kaftani, tuniche esotiche precedenti il gusto per l’etnico, abbinamenti e colori arditi che,con un ampio sfoggio di viola, sfidano le superstizioni della gente di teatro. Nelle bacheche ecco gli oggetti, in particolare le preziose scarpe-pantofole, cioè le sue calzature preferite.
Caratteristico di Valentina è il vezzo di portare il foulard intorno al capo, calato fin quasi sugli occhi magnetici. Una consuetudine copiata dalle contadine lombarde che un tempo, prima di recarsi a lavorare nei campi, si avvolgevano la testa con un fazzoletto chiamato “el riòtt”. Per difendersi dai raggi del sole, trattenere il sudore …i ricordi, le malinconie e i sogni. Valentina è fiera di aver trascorso l’infanzia in campagna, tenuta a balia da una famiglia del contado cremonese. Da qui la sua concretezza, i suoi solidi principi, il suo essere autentica, in apparente contraddizione con l’aspetto aulico e aristocratico.
Molti degli abiti esposti a Palazzo Morando appaiono indossati dall’attrice, immortalata nel libro edito da Skira “Valentina Cortese 100 ritratti”, anzi i due momenti espressivi ( entrambi curati da Elisabetta Invernici e Antonio Zanoletti) sono strettamente collegati .
Da Cinecittà a Hollywood, al Piccolo Teatro di Milano, dal piccolo schermo alla vita privata, la star ha davvero lasciato una traccia inconfondibile del suo carisma. Attraverso quei cento ritratti offre all’obiettivo il proprio profilo di artista e di donna, soprattutto offre la sua anima segreta. Un’anima che si intravvede nello sguardo intenso rimasto identico in ogni foto, pur separate da decine di anni. Cento scatti per scorrere un’esistenza che ha conosciuto povertà e ricchezza, successo e delusioni, grandi amori e anche grandi dolori. Sempre con quel sorriso indomito.
Ad accompagnare i ritratti, scattati dai più quotati fotografi di ieri e di oggi, ci sono dei testi scritti da Franco Zeffirelli, Antonio Calbi, Giulia Lazzarini, Piera Degli Esposti, Carla Fracci, Paolo Grassi, Flavio Caroli. Più lettere inedite di Giorgio Strehler e Paola Borboni. Parole sincere, espressioni di affetto, di complicità, di ammirazione e di stima che a loro volta compongono nell’insieme un altro ritratto. Quello morale di una donna positiva e generosa.
Che emozione incontrarla di persona a Palazzo Morando! Il suo fascino va oltre le aspettative: volto di alabastro, zigomi rimasti perfetti, occhi di un cangiante color verde che a novant’anni non smettono di brillare di entusiasmo e curiosità intellettuale. Valentina ha una parola, una carezza, un buffetto, un complimento mirato per chiunque l’avvicini (anche per me!). L’ultima divina è rimasta semplice e diretta, si schermisce del tanto affetto che la circonda, ma ne è visibilmente grata.
Da giovanissima la futura attrice frequenta la scuola di recitazione di Scalera Film e debutta nel cinema con “L’orizzonte dipinto”(1941) di Guido Salvini. Trova la sua grande occasione ne “La cena delle beffe”, scelta da Alessandro Blasetti per il fascino misterioso che si discosta da quello più esplicito delle attrici dell’epoca.
Nel 1948 si trasferisce a Hollywood e l’apice di tale esperienza è raggiunto con il film “La contessa scalza”di Mankiewicz a fianco di Ava Gardner.
Nel 1955, ritornata in Italia, rivela il proprio talento drammatico nella pellicola “Le amiche” di Michelangelo Antonioni con la forte caratterizzazione della pittrice Nené che le vale un Nastro d’argento. Tra i numerosi film non si può non citare “Giulietta degli spiriti” di Federico Fellini (1964) e “Fratello Sole, Sorella Luna” (1971) di Franco Zeffirelli.
Nel 1973 sfiora l’Oscar con il personaggio di Séverine cucitole addosso da François Truffaut, premio però vinto da Ingrid Bergman la quale dichiarò dal palco che Valentina lo meritava più di lei. Attrice sensibile ed eclettica, eterea eppure sensuale, nonostante le importanti presenze nel cinema è l’incontro con il teatro, soprattutto con il genio di Giorgio Strehler, a segnare una svolta decisiva nella sua vita e carriera. Ciò avviene a metà degli anni ’50, quando naufraga il matrimonio con Richard Basehart dal quale ha avuto il figlio Jackie. Con Strehler arriva l’amore folle e creativo ed anche l’indimenticabile Ljuba ne “Il giardino dei ciliegi”. Tra le mille interpretazioni comprendenti la TV, basti citare la sua tenera-tenace Josephine Beauharnais ne “I Grandi Camaleonti”. Nel 2009 ritorna a teatro con “Magnificat” di Alda Merini e nel 2012 pubblica la sua autobiografia “Quanti sono i domani passati”. Un racconto intenso, a tratti commovente, a tratti ironico, malizioso e vivace. Scritto “con l’esperienza e la saggezza della tarda età”.
Ora Valentina, vedova dell’industriale Carlo de Angeli, conduce una vita appartata e serena. Tuttavia è sempre pronta a sfidare il domani, ad infiammarsi per un progetto, purché conforme ai suoi principi. “Ho perseguito ideali nei quali dominavano la grazia e la bellezza, ad essi, come a me stessa, voglio restare fedele” si legge su un pannello che apre la rassegna di cui sopra.
3 risposte a Valentina Cortese l’ultima divina