Si è conclusa da pochi giorni la Giornata Mondiale della Gioventù e questa sera Rai Uno rivivrà i momenti più belli dell’evento alle 23:30 con lo speciale I ragazzi di Papa Francesco.
Sei giorni indimenticabili, che saranno raccontati con le immagini più belle, con le parole sorprendenti del Papa e le riflessioni della scrittrice Susanna Tamaro e del direttore di Civiltà Cattolica Antonio Spadaro.
Sono passati pochi mesi dalla scioccante notizia delle dimissioni di Papa Ratzinger e l’elezione del nuovo pontefice.
Roma, 13 marzo 2013. La Chiesa ha eletto Papa Francesco Bergoglio. Lui è un gesuita, ma porta un nome che rievoca un altro “grande” della cristianità, San Francesco. Forse, uno tra i più grandi rivoluzionari che la storia del cattolicesimo e nel mondo occidentale, potrà mai ricordare.
Proprio come Francesco, anche Papa Bergoglio manda Urbi et Orbi un messaggio molto chiaro, diretto soprattutto agli alti prelati della Curia romana e non solo: niente sprechi, niente Mercedes, via dal tempio gli indegni e, ancora, riforma dell’organizzazione amministrativa della stessa Città del Vaticano, al fine di tagliare le spese superflue.
Ma chi è veramente Papa Francesco, come ama farsi chiamare dal suo popolo?
Un Cardinale, quindi un principe della Chiesa, gesuita per formazione e cultura che, come si sa, proviene dall’Argentina, terra di confine e di immigrazione, di speranza e insieme di rinunce. Tuttavia, Papa Francesco è da considerarsi, per lo spirito che lo anima e lo guida, più come un gesuita paraguaiano, piuttosto che argentino.
Chiunque abbia visto e apprezzato il film “Mission”, che ha vinto nel 1986 la Palma d’Oro al 39° festival di Cannes, ricorderà che un gruppo di gesuiti erano stati chiamati in Paraguay nel 1585 dal vescovo di Tucumàn per evangelizzare i Guaranì. Questi ultimi, che vivevano in uno stato preistorico, si erano rifugiati in quell’angolo dell’America Latina per sfuggire agli spagnoli e ai cacciatori di schiavi. I religiosi della Compagnia di Gesù avevano saputo conquistarsi la fiducia degli indios, li evangelizzarono migliorandone le condizioni di vita, nel volgere di qualche decennio.
Tutto questo, attraverso un processo di ammodernamento dell’economia, prima fondata esclusivamente sulla caccia e la pesca, poi lentamente per mezzo dell’introduzione, da parte dei gesuiti, della coltivazione del cotone e del mate. Quelle che andarono a formarsi, sotto la spinta dei religiosi, furono delle vere e proprie “colonie stabili di indios”, lontane dai centri abitati spagnoli, (relativamente al sicuro dai cacciatori di schiavi spagnoli e portoghesi) chiamate “reducciones” (o riduzioni), approvate dalla Corona spagnola, ma nei fatti ostacolate dai coloni. Veri e propri villaggi fortificati e autonomi, a struttura teocratica. Da lì in avanti, tra 1610 e il 1640, le reducciones si diffusero sino a comprendere anche gli indios di altre tribù della provincia brasiliana di Tapes, che sotto la guida dei gesuiti fondarono il cosiddetto “stato gesuita del Paraguay”, richiamando così l’attenzione e inevitabilmente l’ostilità dei ricchi commercianti di schiavi e delle stesse autorità coloniali.
I portoghesi del Brasile, le stesse autorità religiose, che non vedevano di buon occhio l’accresciuto potere dei gesuiti nelle colonie portoghesi e spagnole, decisero di eliminare alla radice il problema, decidendo di distruggere le riducciones, insieme alle migliaia di famiglie di indios che le abitavano e a tutti coloro che vi si sarebbero opposti (gesuiti compresi).
Alla fine del conflitto, nel 1641, le riducciones erano ridotte ad una trentina, con circa 150.000 indios cristiani.
In ragione di questa rivoluzione di tipo “socialista ante litteram”, Ludovico Antonio Muratori (sacerdote, storico, bibliotecario e scrittore del 1700), parlando del Cristianesimo “primitivo” di matrice gesuita nelle americhe, nel suo saggio “Cristianesimo felice nelle missioni de’ padri della Compagnia di Gesù nel Paraguay (1743-1749) definì le riducciones come “comunità ispirate da comunismo volontario ad alta ispirazione religiosa” e, più tardi, Paul Lafargue (giornalista, scrittore e saggista del secolo scorso) ne avrebbe parlato come del “primo stato socialista di tutti i secoli”.
Papa Francesco, sacerdote giunto dall’Argentina con l’inseparabile borsa 24ore al seguito, è cresciuto plasmato da questa cultura, forgiato da una vita sacerdotale svolta tra gli umili di quelle terre che hanno visto per prime estrinsecarsi la “politica” dei gesuiti ed il loro modo di pensare la società del domani.
Papa Francesco, per primo, si è recato a Lampedusa, nell’immaginario della cultura occidentale ai “confini del mondo cristianizzato e filo-occidentale” per incontrare i diseredati, i più poveri e coloro ai quali è negata anche la stessa libertà e la vita, quando non ammessi ad accedere nei “paradisi” dei più fortunati.
Non è pensabile che sua Santità possa così risolvere tutti i mali del mondo (non sarebbe umano), ma è tuttavia auspicabile che Egli possa fare chiarezza e pulizia, già a partire dall’interno delle Mura Leonine, quando non addirittura riuscire a far dimenticare le malefatte dello IOR, liquidandolo per sempre, o di alcuni alti prelati che ancora oggi si sottraggono alla giustizia degli uomini, per i reati di pedofilia di cui si sono macchiati. Ciò non di meno, si intravede nella sua azione di indirizzo e nella sua politica, per chiunque ha il desiderio di comprendere anche solo dai gesti e dalle parole sin ad ora pronunciate dal Papa, la luce della consapevolezza che proviene dalla storia della Compagnia di Gesù, insieme al desiderio di Papa Francesco di modernizzare la Chiesa, proiettandola nel futuro dell’umanità.