Ieri sera su Rai 5 alle 22.15 è andata in onda l’ottava puntata de I Visionari. Un programma concentrato, essenziale, durante il quale dieci scrittori contemporanei raccontano, alternandosi, esperienze personali, ricordi letterari, impressioni e suggestioni legati ad una parola specifica che cambia ad ogni nuova puntata: ieri erano le monete.
Quando si pensa alle monete, immediatamente vi si associa l’immagine del denaro, a cui successivamente si accostano concetti derivati quali la ricchezza e la povertà, l’avidità e il potere, e così via fino ad arrivare, per esempio, alla ‘fortuna’, intesa come mera casualità o come felice destino.
Nicola Lagioia ricorda la storia dello scrittore cileno Roberto Bolaño, che visse gran parte della sua vita nella povertà economica e che iniziò ad ottenere il meritato successo solo in età avanzata e a partire dal 1998 con la pubblicazione de I detective selvaggi. Proprio il rapporto di natura economica che lega lo scrittore all’editore è l’oggetto di alcune osservazioni di Cristina Comencini e Michela Murgia: un libro è pur sempre un prodotto la cui realizzazione dipende dal lavoro di molte persone, e inevitabilmente tale lavoro deve essere pagato. La vita di un libro, a partire dallo scrittore fino ad arrivare al lettore, è un processo in gran parte economico che coinvolge professioni e qualifiche diverse il cui valore è ripagato in denaro, in moneta. Michela Murgia ammonisce quei lettori che dimenticano che “scrivere è una passione, ma pubblicare è un mestiere”, e che dietro il costo di un volume (a volte troppo caro, bisogna ammetterlo!) c’è un intero sistema di lavoro e lavoratori.
La moneta è anche desiderio di potere, selvaggia ambizione, ossessione di ricchezza. In proposito Erri De Luca suggerisce due immagini tanto famose quanto indelebili: Paperon de Paperoni che sguazza nella piscina piena di monete d’oro per il semplice gusto di farlo, per pura avidità, e l’intramontabile gioco del Monopoli. “Io prolungavo sempre il gioco” dice De Luca “perché ottenere tutto il denaro era uno svuotamento, era la fine del gioco”. Avere tutto e non possedere niente.
Ad essere ricchi di monete si correre il rischio di diventare poveri, di perdere le proprie ricchezze, la propria posizione sociale, il riconoscimento altrui, un po’ come accade ne Il Gattopardo suggerito da Teresa Ciabatti: la borghesia ‘sconfigge’ la nobiltà e ne decreta la fine economica e sociale.
Infine, nel romanzo di Valeria Parrella Lo spazio bianco, la moneta ritorna con una caratterizzazione quasi scaramantica attraverso quel rito del ‘testa o croce’ con cui si cerca di dare una direzione al destino proprio o altrui. La moneta diventa il simbolo dell’incertezza, del caso insondabile, dell’instabilità umana.
Una parola, tanti significati derivati da sensibilità e vissuti diversi.
Giovedì prossimo I Visionari sarà dedicato al ‘giorno’. La visione è caldamente consigliata.