E’ dello scorso aprile la notizia che Ikea aveva ritirato dai propri punti vendita le lasagne d’alce con tracce di carne di maiale. Non molto tempo prima, una famiglia francese si era sentita male dopo aver mangiato le polpette della famosa catena svedese.
Purtroppo i programmi televisivi stentano a riportare anche le iniziative positive e l’impegno che grandi catene apportano per ridurre gli sprechi e migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori.
Una di queste iniziative è Better Cotton.
Quando nel 2005 un gruppo di multinazionali, tra le quali Ikea, decise di investigare la situazione della catena di produzione del cotone al fine di arginare costi e sprechi, poco si sapeva circa le reali condizioni in cui questo tessuto veniva prodotto. L’idea era quella di andare direttamente alla fonte della catena produttiva, direttamente nei campi di coltivazione di quei paesi quali Pakistan, India e Brasile che risultavano essere i maggiori produttori di cotone. Il gigante svedese Ikea fu tra le compagnie promotrici dell’iniziativa data l’enorme importanza che tale materia costituiva per il suo mercato (tra i vari materiali di cui l’azienda si rifornisce, il cotone si trova al secondo posto in ordine di quantità acquistata annualmente). Il tessuto in questione aveva e ha tuttora una certa rilevanza anche a livello di impatto ambientale globale coprendo i campi di cotone quasi il 2.5 % delle terre coltivabili di tutto il pianeta. Inoltre, circa il 90 % di tale coltivazione avviene in paesi del terzo mondo o in via di sviluppo costituendo nella maggior parte dei casi l’unica fonte di reddito per i coltivatori locali.
I primi rapporti della ricerca dipinsero un quadro a dir poco allarmante. Enormi sprechi di acqua si accompagnavano a un uso sproporzionato di pesticidi e fertilizzanti. A causa di ciò, andava montando la protesta di ONG e opinione pubblica per l’inquinamento prodotto da pratiche di coltivazione datate e assolutamente irrispettose dell’ambiente naturale.
Guido Verjike, il manager Ikea incaricato della questione, trovò la soluzione a tale pressante problema sponsorizzando una partnership con WWF, la celebre organizzazione ambientalista che già in passato aveva collaborato con la multinazionale scandinava. Le due parti elaborarono una strategia tramite la quale, attraverso un training operato direttamente in-loco per i coltivatori locali, si sarebbe potuto raggiungere il duplice risultato positivo di riduzione costi, spreco di risorse ed inquinamento, ed al contempo aumentare le entrate per i contadini. Nel 2006 due progetti pilota furono lanciati rispettivamente in Pakistan e India. Dopo 3 anni, i risultati riportarono un notevole successo su tutti i fronti:
In Pakistan, i coltivatori che avevano usato le Better Management Practices proposte ottennero:
38% riduzione nell’uso di fertilizzanti
32% riduzione nell’uso di acqua e pesticidi
20% aumento di profitto
In India:
81% riduzione nell’uso di pesticidi
49% riduzione nell’uso di acqua
18% riduzione nell’uso di fertilizzanti
15% aumento di profitto
In conclusione, l’iniziativa Better Cotton aveva portato estesi benefici ai coltivatori di cotone delle zone rurali di Pakistan ed India. Oltre ad un sostanziale aumento delle entrate, infatti, anche le condizioni di lavoro avevano subito importanti miglioramenti. Grazie alla robusta campagna Trained Implementing Partners infatti, bambini e donne incinte non venivano più utillizzate come forza lavoro, i lavoratori nei campi erano meno esposti agli agenti tossici di pesticidi e fertilizanti, e i vecchi strumenti di coltivazione veninavo sostituiti da macchinari nuovi ed più efficienti. Il lavoro è oggi ben strutturato ed organizzato: i coltivatori sono addirittura in grado di operare auto-valutazioni dei raccolti mentre operano in ambienti più sani e sicuri. Dato il grande successo dei progetti pilota, nel 2010 l’iniziativa Better Cotton è stata lanciata in Brasile e Mali.