C’era un sogno, immaginato, desiderato e fortemente voluto da molti cittadini, non più di vent’anni fa: l’Europa unita. Unita, non solo politicamente ma soprattutto economicamente, per poter garantire pari dignità ad ogni singolo appartenente alla Comunità, dall’Irlanda alla Polonia, dalla Norvegia all’Italia.
Naturalmente, si iniziò dall’economia (Euratom, CEE ecc.) per creare, con il tempo, le basi per una struttura politica, sostenibile e condivisibile a cominciare dalla sua moneta.
La nascita dell’Euro, sin dall’inizio, fu assai ostacolata e ritardata con mille espedienti tecnici, poiché proprio i Paesi più forti dal punto di vista economico (l’Inghilterra e la Germania) che a parole sostenevano l’entrata in vigore della divisa monetaria unica, nei fatti e nella politica quotidiana avanzavano su una strada diametralmente opposta.
La questione, tuttavia, rimane ancora oggi aperta poiché i sostenitori della non adesione all’Euro, dopo la crisi economica che ha attraversato trasversalmente l’Europa (Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia) hanno avuto buoni argomenti a sostegno delle loro teorie e, inoltre, hanno convinto viepiù i Paesi dell’Est (Lituania, Lettonia, Polonia e Bulgaria) a rimandare sine die l’adesione.
Oltretutto, anche in Italia i sostenitori dell’uscita dall’Euro sono molti, anche tra i politici, e pare che aumentino ad ogni annuncio riguardante il deficit statale e le conseguenti politiche d’austerità.
A convincere sempre di più i cittadini europei, che le cose non vanno bene, è la crisi dei mercati finanziari, scoppiata al di là dell’oceano atlantico, che ha colpito comunque e duramente le rispettive economie del vecchio continente. Il sistema Europa non ha retto all’urto, neanche attraverso l’uso del paracadute della moneta forte e del sistema bancario che, nelle previsioni degli analisti economici, avrebbe dovuto respingere l’ondata inflattiva e la caduta dell’economia grazie.
Ma tutto ciò non è avvenuto in ragione di un sistema bancario (iniziando dalla BCE e scendendo alle Banche centrali dei singoli Paesi) i cui controlli non sono armonizzati tra loro né sintonizzati.
Ciò significa che esistono almeno due modi diversi (quando non opposti) di fare politica finanziaria, in Europa.
Le Banche, quindi, hanno assoluta necessità di regolamentare se stesse in un sistema armonico e condivisibile da tutte le politiche dei 27 Paesi che lo compongono.
Altra questione sul tappeto, quella che contribuisce a frenare l’economia nell’eurozona è la mancanza di una politica comunitaria vera a sostegno dei paesi in difficoltà. Sino ad oggi, i fatti stanno lì a dimostrare che si è intervenuti, sostanzialmente, nei momenti di crisi sistemica del paese, come ad esempio in Grecia: il Paese, in default economico, per aver superato il rapporto deficit/pil, non poteva più pagare i debiti correnti (figuriamoci quelli pregressi), né tanto mento gli stipendi dei propri dipendenti statali, con conseguente blocco totale dell’economia. Da qui, i piani di soccorso economico in extremis per mantenere a galla il Paese.
Si deve operare per uscire definitivamente dalle politiche delle emergenze, in favore di un piano di interventi che agisca sul piano strutturale (la revisione delle pressione fiscale nei singoli paesi) favorendo l’armonizzazione dei piani di intervento rivedendo, alla base, gli accordi presi e riguardanti il rapporto deficit/pil, oggi troppo stringente e asfissiante, per una economia (quella globale) che invece ha bisogno di correre e spostarsi dinamicamente da una piazza all’altra.
In questo l’Europa è in forte ritardo. Ma, soprattutto, tra i paesi che la compongono, molti realizzano la modernizzazione delle strutture e delle politiche a cura del governo, nella direzione della crescita e dello sviluppo, a velocità diverse e non sempre coerenti (si pensi alla realizzazione della TAV, che dovrebbe collegare il nord-ovest al sud-est dell’Europa e che per capacità, disponibilità e volontà politica tarda ad essere realizzata, nei tempi inizialmente previsti).
Una nuova politica comunitaria
Sino a due anni fa, prima che la crisi finanziaria e bancaria degli Stati Uniti giungesse sino a noi, annullando come si è visto “l’economia di carta”, che aveva sino a quel momento drogato i mercati delle borse di tutto il mondo, non ci furono interventi in risposta al loro grido di aiuto, se non con qualche sporadico e intempestivo provvedimento, insufficiente a risolvere le problematiche sul tavolo di chi avrebbe dovuto invece decidere e bene.
Tutto questo nonostante Paesi come Spagna, l’Irlanda e Grecia facessero appello al governo europeo affinché prendesse gli opportuni provvedimenti per ridare fiato alle loro economie (quelle reali, basate sull’investimento e la produzione di beni e servizi) e mentre i programmi televisivi italiani, invece di occuparsi dei problemi reali dell’economia, perdevano tempo con processi morali e penali a una parte della nostra classe politica e d’informazione.
Tuttavia, era inevitabile che la crisi della finanza, basata sugli scambi di titoli (quella della carta) nella sua folle corsa, dopo aver coinvolto le grandi economie a due cifre come la Cina, l’India, il Giappone e gli Stati Uniti, giungendo in Europa, prima o poi mettesse in seria difficoltà anche la Germania della Merkel e la Francia di Hollande.
E’ di queste settimane, infatti, la cronaca che ci descrive nei particolari la nuova politica comunitaria che si intende favorire in ragione delle istanze che i cittadini di tutti i Paesi membri dell’UE si attendono.
Crescita, sviluppo economico, minore pressione fiscale sono divenuti il leit motiv di una revisione degli accordi che prevedono un ammorbidimento delle regole che si devono rispettare per rimanere nell’eurozona. Quelle, per intenderci che avevano ridotto la teoria (mai superata) dell’economista britannico John Maynard Keynes (sosteneva che nei periodi di forte crisi economica lo stato dovesse intervenire, in qualità di imprenditore, per ridare slancio all’economia in difficoltà) in favole per ragazzini.
La storia degli eventi ha smentito la politica attuale, costringendola a tornare sui suoi passi.
Ecco spiegato il gran via vai di premier e ministri a cui stiamo assistendo, negli ultimi mesi, un po’ ovunque ma soprattutto tra le cancellerie tedesca, francese e italiana.
Infatti il nostro Presidente del Consiglio, Enrico Letta, sta portando avanti una politica di sostegno all’asse Hollande-Merkel, al fine di avviare una politica comune in favore della crescita e dello sviluppo nell’area dell’Euro, con particolare riferimento all’occupazione giovanile e ad una armonizzazione del sistema fiscale.
Tutto ciò, non può prescindere, come si sa anche in relazione all’esperienza maturata in Italia, da un serio ripensamento dell’organizzazione della pubblica amministrazione, dell’organizzazione del governo e del parlamento europei. Insieme a una nuova e più dinamica regolamentazione del sistema bancario europeo, che sappia portare avanti una politica degli investimenti (sviluppo, ricerca con un occhio all’occupazione) più attenta alle istanze dei cittadini e non solo in riferimento alle esigenze degli investitori o dei consigli di amministrazione.
Insomma, il terzo millennio dovrebbe portare con sé le premesse della nascita di una Nazione europea, quale sin’ora non si è ancora vista.